Beatrice Cerrino è insegnante di Economia e Diritto nella Scuola Secondaria di secondo grado. Collabora con la Scuola di Economia Civile, di cui è referente per il settore Scuola, e attualmente sta svolgendo un Dottorato di ricerca presso l’Istituto Universitario Sophia per approntare strumenti didattici volti a far conoscere l’Economia Civile nelle scuole. È anche parte del team organizzatore di Economy Of Francesco e assistente del Professor Luigino Bruni.
Ritiene che si possa non solo immaginare ma anche implementare un nuovo paradigma economico – quale quello dell’economia civile per esempio – al riparo dalle logiche di profitto e crescita senza limiti? Se sì, come lo si potrebbe tutelare dalle resistenze e soprattutto dalle mire del sistema economico capitalista?
In pochi anni abbiamo subito un cambiamento epocale, ad una velocità straordinaria, ma le categorie di pensiero, i sistemi di lavoro, cambiano molto più lentamente e questo contrasto produce la crisi. Quindi dobbiamo lavorare molto di più a livello culturale, scientifico e di ricerca, perché – come ha detto Papa Francesco – oggi il mondo soffre per la mancanza di un pensiero che sia adeguato ai tempi. Solo se riusciremo a concentrare gli sforzi di molti in molti punti e in un arco di tempo sufficiente per produrre un cambiamento innanzitutto di tipo culturale allora riusciremo a creare un terreno fertile ed accogliente per nuovi paradigmi, anche economici. Lo sforzo che stiamo facendo come Scuola di Economia Civile va proprio in questa direzione: Civile è l’aggettivo che Antonio Genovesi, economista del Settecento napoletano, di grande ingegno, sceglie per il titolo della opera “Lezioni di Commercio o di Economia Civile”. Civile dà il nome alla prima cattedra di economia al mondo, proprio a Napoli, in lingua italiana. Una tradizione continentale e latina che si riannoda alle radici di quella fiducia che vede nel mercato un luogo di relazione, prima che un campo di scambi astratti. L’economia civile nasce da qui: da un’idea di cooperazione che ha come orizzonte la felicità pubblica.
Nel processo di umanizzazione dell’economia, quali sono secondo Lei gli elementi chiave da cui non possiamo né dobbiamo prescindere come società?
Solo quando avremo consolidato una cultura radicata nel benessere di una collettività che abbraccia tutti i singoli nessuno escluso, che celebra la bellezza, che protegge e custodisce i beni comuni, che sia in grado di dare valore al contributo di ciascun individuo come parte essenziale ed imprescindibile della società, solo allora saremo in grado di affermare i bisogni veri e profondi della società che a loro volta saranno in grado di modellare quelli dell’economia e non viceversa. Solo allora il sistema economico capitalista, ormai depotenziato e mistificato, non avrà più la forza di reagire. Molti sono ancora convinti che il capitalismo è il sistema migliore da mettere in atto anche perché consente a 7 miliardi di persone di sopravvivere a fronte dei 4 miliardi stimati 30 anni fa. E questo grazie anche alla Cina e all’India. Detto questo, bisogna però anche aggiungere che è vero che siamo entrati nella zona Cesarini del pianeta e che abbiamo pochissimi minuti ancora nell’ottica dei tempi. Ma non saranno i potenti a salvarci. Saranno i bambini, la gente, sarà tutta la “voce” dal basso, ed ecco il senso della convocazione dei giovani ad Assisi da parte di Papa Francesco. Noi ad Assisi puntiamo sui giovani perché se vogliamo sperare, dobbiamo sperare con loro. Assisi nasce con i giovani, nasce dall’idea del Papa di parlare a chi si sta formando oggi per una economia di domani, a persone che hanno ancora una capacità e una disponibilità al cambiamento. E poi Assisi sarà un luogo dove i giovani saranno ascoltati. Il premio Nobel Yunus mi ha detto: “Verrò per ascoltare perché voglio sentire cosa c’è di nuovo nel mondo dell’economia e dei giovani”.
Immaginando che tutto il mondo sia disposto a contrastare la crisi climatica, quali priorità ci si dovrebbe dare per arrivare ad una soluzione duratura?
Oggi occuparsi di ambiente e (quindi anche) di territorio non può prescindere da un’attenzione verso questioni di povertà, di welfare o di salute. E allo stesso tempo la tutela dei luoghi non può prescindere dalle necessità dell’uomo. La gravità delle crisi ambientali e sociali, le devastazioni del patrimonio naturale, la banalità del male di tante decisioni riguardanti il territorio, la mancanza di prevenzione, l’assenza di controlli, la noncuranza del rischio e della fragilità degli ecosistemi, il non rispetto delle regole, richiedono una presa di posizione più forte che solo un nuovo tipo di umanità può assumere. E’ proprio di ieri la notizia che anche a Davos i grandi della Terra hanno messo al centro delle discussioni il tema ambientale, una scelta ovvia, visto che la questione ambientale è il tema del momento e non potevano non parlarne. Tu inviti i potenti della terra. Loro accettano l’invito, fanno le foto di rito, partecipano alle riunioni. Ma poi rimane tutto lì. Questi top manager non si commuovono perché vedono il pinguino morire o il ghiacciaio sciogliersi o l’Australia andare in fiamme. Questi hanno bilanci trimestrali da rispettare e se non li rispettano li licenziano. Questo è un mondo che ha le sue leggi. Non possiamo essere così ingenui da pensare che si possono commuovere e cambiare vita. L’unica speranza vera e importante per il pianeta è la parte che i cittadini possono svolgere. Sarà una reazione del popolo a costringere le aziende e i sistemi economici a cambiare. Il mestiere delle imprese è vendere e se la richiesta cambia, loro necessariamente devono adattare l’offerta al cambiamento dei comportamenti e delle scelte dei consumatori.